Il buono fruttifero postale, dal punto di vista legale, può considerarsi un servizio di investimento. I servizi di investimento, per definizione, hanno ad oggetto strumenti finanziari, termine con il quale ci si riferisce ad azioni, obbligazioni, titoli di Stato, quote di fondi, contratti e strumenti derivati ecc., ossia tutti quegli strumenti attraverso i quali è possibile effettuare investimenti di natura finanziaria. I contratti stipulati tra intermediari autorizzati e investitori sono stati solo recentemente disciplinati dal ns. legislatore con il D. Lgs. N. 58/1998. Brevemente, il decreto sancisce quali siano gli operatori che possono essere ritenuti operatori finanziari e Poste Italiane è uno di questi. Tutti i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori devono essere redatti per iscritto e una copia deve essere consegnata ai clienti. In ogni caso, quando la forma prescritta non viene osservata, il contratto è considerato nullo in ogni suo effetto. Gli intermediari finanziari hanno precisi obblighi di informazione circa la natura e i rischi dell’investimento proposto. I Buoni Fruttiferi Postali, in particolare, sono dei titoli emessi dalla Cassa depositi e prestiti, garantiti dallo Stato Italiano e collocati sul mercato in via esclusiva da Poste Italiane. È un prodotto tutto sommato classico, in quanto è presente sul mercato dall’inizio del 1900 e sono sempre stati emessi per qualsivoglia importo. Oggi il buono postale può essere emesso anche per € 50,00. Inoltre, i buoni postali sono esenti dalle imposte in materia di successione, questi due elementi si ritiene che siano quelli che ne hanno incentivato la diffusione. Il buono postale scade è cioè incassabile dal giorno successivo alla sua scadenza. Il buono postale come tutti i diritti di credito soggiace ad un termine di prescrizione di dieci anni. In pratica, decorsi 10 anni dalla scadenza del buono esso non ha più valore. Una certa e annosa querelle è sorta al momento dell’incasso di alcuni buoni postali, stipulati dal cliente prima dell’entrata in vigore del D. Lgs. sui servizi di investimento. La querelle si pone in quanto Poste Italiane, ingiustificatamente, ha deciso di rimborsare, in alcuni casi, anche il 20% in meno del valore di rendimento indicato sul buono. Poste Italiane si giustifica dicendo che il valore indicato nel retro del buono non è valido, perché non è corrispondente al valore stabilito dal Decreto Ministeriale, che disciplina l’ammontare degli interessi nei contratti di investimento. Il problema riguarda in modo particolare i BPF (Buoni Postali Fruttiferi) a termine delle serie N, O, P, AA, AB, AF, cioè quelli emessi dagli anni 80 al 23 giugno 1997. Tra questi buoni, ad esempio, in base alle condizioni riportate sul retro degli stessi, esisteva l’opportunità di ottenere a scadenza, il doppio (dopo 9 anni ½), o il triplo (dopo 14 anni), della somma investita alla sottoscrizione. Nessun altro investimento era così remunerativo. Le emissioni successive al 23/6/1997 recependo le nuove indicazioni del Decreto Ministeriale hanno ridotto il valore di rendimento dei buoni. Il risparmiatore ha acquistato, quindi, un Buono Postale con determinate caratteristiche, che, però, al momento dell’incasso vengono illegittimamente ed unilateralmente modificate. Ma siccome all’epoca dell’emissione del buoni de quibus non esisteva alcun obbligo informativo a carico dell’intermediario, Poste Italiane si ritiene esonerata da qualsivoglia responsabilità e legittimata a non rimborsare l’importo indicato dal buono. Poste Italiane sostiene che il valore degli interessi dei buoni postali si deve calcolare unicamente in base al Decreto Ministeriale vigente e/o eventuali decreti di modifica successivi, e che le indicazioni del buono postale possono anche non corrispondere a quelle reali. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute in merito alla controversia e hanno precisato che "la disciplina che regola il rapporto tra Poste Italiane e i sottoscrittori dei buoni postali fruttiferi, si forma sulla base dei dati risultanti dal testo contenuto nei buoni di volta in volta acquistati", quindi il contrasto tra le condizioni indicate sul titolo, e quelle stabilite dal Decreto Ministeriale che ne disponeva l’emissione, "deve risolversi dando prevalenza alle prime", inoltre il fatto che Poste Italiane restituisca interessi a condizioni diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore sin dall’atto dell’emissione del buono, "sono contrarie alla funzione stessa dei buoni postali". Sullo stesso tenore si è già espresso anche l’ABF (Arbitro Bancario Finanziario). Ragion per cui, tenuto conto che il buono postale per sua natura è un investimento a lungo periodo a tasso crescente o fisso, esso a mio parere costituisce un credito certo, perché indicato nel suo ammontare, liquido ed esigibile perché successivamente alla sua scadenza esso è incassabile. L’azione giudiziaria più adatta per recuperare il credito è, pertanto, un procedimento monitorio, cioè il procedimento volto ad ottenere un decreto ingiuntivo. L’azione è chiaramente individuale perchè strettamente legata al titolo in possesso del cliente, ed è certamente più economica e rapida dal punto di vista della tempistica di un giudizio ordinario.