L'azione di riduzione è disciplinata dall’art. 553 e ss. c.c., è un'azione concessa ai legittimari per ottenere la reintegrazione della legittima mediante la riduzione delle donazioni o delle eventuali disposizioni testamentarie eccedenti la quota di cui il testatore poteva disporre (cosiddetta disponibile). I presupposti dell'azione sono la dimostrazione della qualità di legittimario (ovvero di stretto congiunto del de cuius) e in secondo luogo della lesività della disposizione testamentaria o della donazione nei confronti della quota che la legge riserva espressamente e anche contro la volontà del de cuius al legittimario. L’erede necessario che venga leso nella sua quota di riserva, sia in quanto pretermesso nel testamento, sia perchè il de cuius abbia esaurito in vita l’intero suo patrimonio mediante atti di donazione, non è titolare di un diritto reale sui beni che dovranno essergli restituiti per integrare la sua quota di legittima, essendo l’attribuzione di un siffatto diritto subordinata all’utile esperimento dell’azione di riduzione, che ha carattere personale. Pertanto, in tali ipotesi, egli non può promuovere l’azione di divisione, se non congiuntamente all’azione di riduzione (Cass. 6 maggio 1964 n. 1077; Cass. 28 giugno 1969 n. 2342). L’azione di riduzione non fa valere un diritto reale, ma è piuttosto l’esercizio di un rimedio giudiziale diretto a rendere inefficace l’atto dispositivo compiuto dal defunto, quando tale atto abbia leso la riserva del legittimario (Cass. 11 giugno 2003 n. 9424, ord., e Cass. 12 aprile 2002 n. 5323, ord.). L’azione di riduzione è soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale, “decorrente dalla data di accettazione dell’eredità da parte del chiamato in base a disposizioni testamentarie lesive della legittima” (Cass. Sezioni Unite 25 ottobre 2004 n. 20644), ovvero dalla data di apertura della successione, secondo altro orientamento giurisprudenziale (Cass. 22 ottobre 1988 n. 3731; Cass. 28 novembre 1978 n. 5611; Cass. 25 novembre 1997 n. 11809; Cass. 7 maggio 1987 n. 4230). Occorre, poi, rilevare che la giurisprudenza è concorde nell’affermare che “l’azione di divisione e quella di riduzione sono nettamente distinte ed autonome (per oggetto e causa petendi), presupponendo la prima l’esistenza di una comunione ereditaria che si vuole sciogliere; ed essendo la seconda diretta al soddisfacimento dei diritti del legittimario indipendentemente dalla divisione. Ne consegue che la domanda di reintegra della quota di riserva non può ritenersi implicitamente contenuta in quella di divisione ed è preclusa, perchè nuova, la sua proposizione per la prima volta in appello, pur essendo consentito al legittimario leso di chiedere cumulativamente nello stesso giudizio, sia la riduzione che la divisione” (Cass. 29 marzo 2000 n. 3821). Ed ancora, è stato affermato che “il legittimario pretermesso non è un chiamato alla successione e perciò non partecipa alla comunione per il solo fatto della morte del de cuius, potendo acquistare i suoi diritti solo dopo l’esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento” (Cass. 12 marzo 1975 n. 926). L’azione di divisione tende unicamente allo scioglimento della divisione ereditaria, mentre l’azione di riduzione è rivolta al soddisfacimento dei diritti dei legittimari che si ritengono lesi dalle disposizioni testamentarie, indipendentemente dalla divisione dell’asse ereditario (Cass. 28 novembre 1978 n. 5611). Il legittimario pretermesso può acquistare i suoi diritti, e quindi partecipare alla comunione ereditaria, solo dopo l’esperimento dell’azione di riduzione (Cass. 4 aprile 1992 n. 4140).