Come è noto, secondo la giurisprudenza, “ai fini del riconoscimento del diritto di mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, è necessario che questi sia privo di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sussista una disparità economica fra i due coniugi. Al fine del relativo apprezzamento, da un lato vanno prese in considerazione le complessive situazioni patrimoniali dei soggetti, comprensive non solo dei redditi in senso stretto, ma anche dei cespiti di cui essi abbiamo il godimento e di ogni altra utilità suscettibile di valutazione economica, e, dall’altro,…è sufficiente un’attendibile ricostruzione delle suddette situazioni complessive” (Cass. 3/10/2005 n. 19291; Cass. 30/3/2005 n. 6712; Cass. 19/3/2002 n. 3974). Più precisamente, la Corte di Cassazione ha statuito che “l'attitudine al lavoro del coniuge separato, il quale domanda l'assegno di mantenimento, rileva, ai fini del l'accertamento della sua capacità di guadagno e, quindi, della spettanza e misura dell'assegno, solo se venga riscontrato in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, tenuto conto di ogni concreto fattore, soggettivo ed oggettivo; non già in termini meramente ipotetici” (Cass. 2/7/2004 n. 12121; Cass. 19/3/2002 n. 3974; Cass. 17/10/1989 n. 4163). La citata sentenza della Corte di Cassazione 19/3/2002 n. 3974, al riguardo ha altresì precisato “a norma dell’art. 156 c.c., il diritto all’assegno di mantenimento sorge nella separazione personale a favore del coniuge cui essa non sia addebitabile, quando questi non fruisca di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello esistente durante il matrimonio e sussista disparità economica tra i coniugi; il parametro al quale va rapportato il giudizio di adeguatezza è dato dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l’entità delle aspettative del richiedente, senza che occorra un accertamento dei redditi rispettivi nel loro esatto ammontare”. In applicazione dei criteri fissati dall’art. 156 c.c., il coniuge, nel richiedere l’assegno di mantenimento, “pur essendo onerato della prova di impossidenza di sostanze o redditi, non è tenuto a dare dimostrazione specifica e diretta, essendo sufficiente che deduca anche implicitamente una condizione inadeguata a mantenere il precedente tenore di vita”(Cass. 27/8/2004 n. 17136; Cass, 17/2/1987 n. 1691). È onere del Giudice di merito procedere ad una valutazione comparativa dei mezzi economici a disposizione di ciascuno dei coniugi al momento della separazione (Cass. 19/12/2008 n. 29779), in particolare, l’utilizzo esclusivo della casa coniugale da parte del coniuge onerato dell’assegno e le maggiori spese alle quali vada incontro l’altro coniuge per reperire una diversa soluzione abitativa (Cass. 3/10/2005 n. 19291 e Cass. 4543/1998). Ai fine del riconoscimento della concreta (e non solo astratta e potenziale) attitudine lavorativa del coniuge richiedente occorre considerare l’età, le condizioni fisiopsichiche, la preparazione professionale e la vita anteatta, le condizioni attuali del mercato del lavoro e verificare se esistono serie ed immediate possibilità di guadagno in un'occupazione non usurante e comunque confacente alla propria personalità (Cass. 13/5/1986 n. 3168 e Cass. 17/10/1989 n. 4163). Una eventuale attività lavorativa sporadica e saltuaria è del tutto irrilevante in relazione alla durata ad esempio di un rapporto matrimoniale di 10,15 o 20 anni, durante la quale la moglie non aveva alcuna attività professionale per scelta condivisa dai coniugi in regime di matrimonio. Spetterà, semmai, al resistente dimostrare l’entità, la continuità e la durata della presunta attività svolta in nero e alla percezione di un effettivo reddito.